Dalla chiusura al prestigio internazionale: la storia di successo dell’IRSOL.
Non lo tieni fermo, perché non è uno che, allo scoccare del 65esimo compleanno, lascia cadere la penna e sparisce dalla circolazione. Michele Bianda, dopo aver diretto l’Istituto Ricerche Solari Aldo e Cele Daccò (IRSOL) a Locarno-Monti, è andato in pensione. Se però lo cerchi, lo trovi sempre all’IRSOL, a chiacchierare con la nuova direttrice, Svetlana Berdyugina. Oppure – finalmente, per lui – in officina a trafficare su strumenti e apparecchi. Ed è giusto così: ogni scienziato porta con sé una storia e un patrimonio di competenze e di conoscenze che non possono andare perdute da un giorno all’altro. Abbiamo incontrato Michele Bianda e ci siamo fatti raccontare la storia di un successo: quella dell’IRSOL. Un Osservatorio che, a differenza di ogni altra istituzione, comincia con la chiusura e arriva fino a un livello di eccellenza internazionale.
Michele, come sei arrivato al Sole? È cominciato tutto con un interesse giovanile? Oppure è stato un caso?
Fin da bambino ero interessato all’astronomia. Nemmeno sapevo che esistesse la Società Astronomica Ticinese, però il cielo mi affascinava. Al liceo il professor Alfredo Poncini, che era il mio docente di fisica ed era anche un astrofilo, ci raccontava storie e aneddoti che in me aumentavano l’interesse per l’astronomia. Mi iscrissi a fisica al Politecnico di Zurigo e, quando si trattò di scegliere il lavoro di diploma, mi dissi: «Io mi butto». E scelsi l’astronomia. Avevo anche seguito alcune lezioni di Max Waldmeier, però – devo essere sincero – non ne ero rimasto molto colpito, perché si trattava soprattutto di astronomia di posizione. Tuttavia andai a cercare l’Istituto di astronomia del Poli. Ricordo ancora la strada e le baracche, e proprio in quelle baracche a quell’epoca si trovava provvisoriamente l’Istituto. È lì che per la prima volta incontrai Jan Stenflo: fu l’inizio anche di una grande amicizia. Stenflo, che da poco era succeduto a Waldmeier, mi propose un tema di meccanica quantistica nell’ambito della fisica solare e io mi ci buttai – lo ammetto – anche un po’ da incosciente. Furono quattro mesi entusiasmanti ma anche micidiali, perché avevo a malapena il tempo per mangiare, dormire e fare qualche corsa per tenermi in allenamento: tutto il resto era dedicato al lavoro. Dopo il diploma, mi guardai in giro e osservai la gente che stava facendo un dottorato. Mi accorsi che da un lato sarebbe stato entusiasmante, ma dall’altro mi avrebbe costretto a rinunciare a qualcosa di troppo importante per me: le radici. Mi sarei sentito senza la terra sotto i piedi, sempre costretto a muovermi e a viaggiare. Ma io ero troppo legato alla mia famiglia e alle mie amicizie. Perciò tornai in Ticino e all’inizio mi arrangiai con qualche supplenza a scuola. Un giorno Edy Alge, che era il padre di una mia ex compagna di scuola, Annalisa, mi propose di andare a visitare la Specola Solare Ticinese. Come vidi la Specola, mi dissi: “Questo è il mio posto. Qui succederà qualche cosa”. Perciò iniziai a lavorare con Sergio Cortesi, da quale imparai moltissimo, finché iniziai anche a percepire un piccolo compenso. E poi si aprì la possibilità di salvare l’IRSOL dalla chiusura.
Che però ancora non si chiamava IRSOL.
No. In quel momento era un Osservatorio astronomico della Deutsche Forschungsgemeinschaft, perciò apparteneva al governo tedesco ed era gestito dall’Università di Göttingen. Io lo avevo già visitato, accompagnato da Paul Utermohlen. Come ho detto, l’Osservatorio avrebbe dovuto essere chiuso. Perciò si pensò di salvarlo mantenendolo aperto e attivo, un po’ come era stato fatto alcuni anni prima, nel 1980, con la Specola, quando era stata abbandonata dal Politecnico di Zurigo. Alessandro Rima, Paul Utermohlen e molte altre persone svolsero un lavoro enorme, aprendo una trattativa che durò più anni e terminò nel 1988, con lo Stato tedesco, la Deutsche Forschungsgemeinschaft e l’Università di Göttingen. Alla fine ci si accordò per una vendita a un prezzo molto ragionevole, pari a circa mezzo milione di franchi, però con la clausola che nella nostra futura attività scientifica avremmo considerato gli interessi dei ricercatori germanici. E finalmente, nel 1988, entrammo in possesso dell’Osservatorio.
Chi aveva stanziato il capitale per l’acquisto? E da chi era finanziato l’IRSOL in quel momento?
Formalmente la proprietaria era l’Associazione Istituto Ricerche Solari Locarno (AIRSOL), ma il capitale era di Alessandro Rima, che lo aveva messo a disposizione come prestito. Il capitale per la Fondazione è arrivato dai suoi membri, cioè il Canton Ticino e il Comune di Locarno, insieme all’AIRSOL, fino a estinguere il debito con Rima e a continuare con il finanziamento successivo.
Quindi Göttingen abbandonò l’Osservatorio.
Giuridicamente si, ma i ricercatori tedeschi erano molto legati all’Osservatorio e fecero tutto il possibile per aiutarci. Lo avevano chiuso per trasferirsi con un nuovo strumento a Tenerife, alle Canarie, per costruire il quale erano state cannibalizzate l’ottica, l’elettronica e in parte la meccanica della sede di Locarno. Però il capo officina di Göttingen, che aveva costruito lo strumento, si offrì di ricostruire tutte le parti mancanti vitali, peraltro anche correggendo alcuni difetti conosciuti dei pezzi asportati. Così ci siamo ritrovati con uno strumento per certi versi anche migliore di quello precedente. Molti apparecchi funzionano alla perfezione ancora oggi. Comprammo un nuovo reticolo dello spettrografo, identico a quello installato a Tenerife. Acquistammo anche una camera CCD, così da poter registrare le immagini spettrali. E in quel momento intervenne Jan Stenflo.
In che senso intervenne?
Stenflo, che qualche anno prima era diventato professore di astronomia al Politecnico di Zurigo, prese una decisione che per l’IRSOL si rivelò vitale: considerare il nostro come l’Osservatorio di riferimento per le sue ricerche. Prima lavorava con il telescopio di Arosa, ma la nostra strumentazione era molto più adatta agli studi di spettropolarimetria di cui si occupava Stenflo. Inoltre a Zurigo c’era un ingegnere geniale, Hanspeter Povel, che aveva inventato una tecnologia innovativa per misurare la polarizzazione della luce minimizzando i problemi generati dalla turbolenza atmosferica. Dalle ricerche di Povel derivò la prima generazione del sistema ZIMPOL, che sta per Zurich IMaging POLarimeter. ZIMPOL fu utilizzato per misure scientifiche all’Osservatorio di Kitt Peak, in Arizona. Il problema con Kitt Peak era però che bisognava ottenere del tempo di osservazione e poi ogni volta era necessario andare fino negli Stati Uniti. All’IRSOL era possibile, in modo efficiente ed economico, sviluppare ZIMPOL per ottimizzare ulteriori campagne osservative su grandi telescopi come quelli presenti a Kitt Peak.
E con le osservazioni arrivarono anche i primi risultati scientifici?
Il primo output scientifico importante dell’IRSOL ha un’importanza notevole ancora oggi. Si tratta dell’atlante del secondo spettro solare, cioè la polarizzazione della luce diffusa molto vicino al bordo solare, risultato del lavoro di dottorato di Achim Gandorfer. Infatti questi segnali contengono molta fisica interessante, tanto da venire identificati appunto con il nome di secondo spettro solare. Pochi anni fa mi trovavo a un congresso scientifico in Cina e ricordo che erano presenti alcuni tra i principali padri della teoria della fisica della spettropolarimetria da diffusione: Jan Stenflo, Javier Trujillo Bueno, Kanakatte Nanjundarao Nagendra, Egidio Landi Degl’Innocenti. Ricordavano ridendo che 20 anni prima, avendo visto i primi risultati di ZIMPOL e la ricchezza del secondo spettro solare, si erano detti che avrebbero avuto da lavorare per almeno cinque anni. In realtà quei segnali vengono studiati ancora oggi e molto deve ancora essere compreso. (Ride.) L’atlante nell’ultravioletto è stato ottenuto a Kitt Peak, perché l’Osservatorio si trova a un’altitudine maggiore e quindi risente meno dell’assorbimento atmosferico. Inoltre anche il loro strumento è più grande: 1,5 metri contro 0,45 dell’IRSOL. Però l’atlante del secondo spettro solare dal viola fino all’infrarosso vicino è frutto delle misure svolte all’IRSOL.
Ma all’IRSOL non c’era solo ZIMPOL.
No. Infatti, prima dell’arrivo di ZIMPOL e in collaborazione con il Politecnico di Zurigo, avevamo sviluppato un altro tipo di polarimetro, più semplice, che però permetteva di ottenere una precisione elevata, fino a 10-4.Con quello strumento è stato possibile ottenere misure che ancora oggi vengono citate nella letteratura scientifica. Per esempio misure dell’effetto Hanle, che, a differenza dell’effetto Zeeman, permette di misurare anche i campi magnetici solari non orientati. In quel momento ho capito che finalmente potevo fare un mio lavoro di dottorato. È strano, non trovi? Mi sono diplomato alla fine degli anni ’80, ma ho ottenuto il dottorato nel 2003. È piuttosto inusuale.
Ma in quel periodo eri già direttore dell’IRSOL.
Difficile parlare di direttore quando ero l’unico in qualità di ricercatore. L’IRSOL era indipendente dal Politecnico di Zurigo, ma fino al 2007, cioè finché Jan Stenflo è stato professore, di fatto era considerato l’Osservatorio del Poli. Renzo Ramelli è stato assunto nel 2003, quando sono stati disponibili altri finanziamenti ed è stato possibile accogliere un altro ricercatore.
Poi però Stenflo è andato in pensione.
Nel 2007: quello è stato un grande cambiamento. Pensavamo di poter proseguire le ricerche con il suo successore ma, non sapendo bene che cosa sarebbe accaduto al know-how acquisito, la tecnologia di ZIMPOL è stata acquisita dalla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI), con la quale poi abbiamo sviluppato le generazioni successive dello strumento. Gli strumenti ceduti o prestati all’IRSOL sono diventati di nostra proprietà dopo qualche anno. Poi però il Politecnico di Zurigo ha deciso di abbandonare la fisica solare. È stato un momento molto duro, perché in Svizzera non c’era più alcun istituto accademico che si occupasse della fisica del Sole. Per questa ragione era difficile, per un piccolo istituto come l’IRSOL, giustificare il proprio ruolo nella politica accademica svizzera, anche nell’ottica di ottenere dei finanziamenti dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica. Avevamo però potuto iniziare un’alleanza strategica dal punto di vista scientifico con il KIS (Kiepenheuer Institut für Sonnenphysik, oggi Leibnitz Institut) di Freiburg in Brisgovia, diretto da Svetlana Berdyugina dopo che già aveva lavorato al Poli. Per fortuna nel 2013 l’IRSOL è stato riconosciuto come istituto di interesse nazionale e finanziato tramite la Legge federale sulla promozione della ricerca e dell’innovazione (LPRI). Ma a una condizione: il finanziamento sarebbe durato per 4 anni, durante i quali avremmo dovuto essere associati a un’università svizzera o straniera per continuare a essere finanziati. Non potevamo più permetterci di essere visti come una specie di scheggia vagante che non si sapeva dove collocare. (Ride.)
A quel punto che cosa è cambiato?
A quel punto, grazie al finanziamento della Confederazione, è stato possibile creare un team più grande composto da tre gruppi: uno che si occupava di strumentazioni e osservazione, uno teorico e uno per le simulazioni numeriche diretto da Oskar Steiner, che lavorava anche con il Centro svizzero di calcolo scientifico (CSCS). In questo modo è stato possibile far convivere sotto lo stesso tetto ricercatori che si occupavano di fisica solare con approcci differenti, collaborando in modo efficace. Il fatto di occuparsi anche di aspetti teorici e numerici ci ha avvicinati all’Università della Svizzera italiana (USI) e al suo Istituto di scienze computazionali, oggi Istituto Eulero. Si è constatata la potenzialità di una collaborazione e perciò l’USI ha deciso di associare l’IRSOL. Da quel momento in poi le cose sono andate alla grande. Per esempio, Luca Belluzzi, che fin dall’inizio dirige il gruppo teorico, ha ricevuto i finanziamenti da un progetto Sinergia del Fondo nazionale, nel quale si devono far collaborare gruppi di ricercatori che si occupano dello stesso tema ma con approcci differenti. In questo caso collaborano l’IRSOL, l’USI e l’Instituto de Astrofísica de Canarias (IAC), lavorando su un codice sviluppato allo IAC che simula la radiazione, o meglio il trasporto radiativo, in modelli numerici dell’atmosfera solare. Questa collaborazione è una storia di successo. Va forse citato anche un grande progetto europeo che consiste nel progetto di un grande telescopio solare, l’European Solar Telescope (EST), dall’apertura di 4 metri e da costruire a La Palma, nelle Isole Canarie. L’IRSOL segue il progetto da decenni come rappresentante della Svizzera nel progetto e ora l’USI diventa referente accademico nazionale del progetto. Occupandoci pure di strumentazione, si è potuta incrementare la collaborazione con la SUPSI, ed è pensabile che si sviluppi ulteriormente se il progetto EST si trasformerà in realtà.
E oggi?
Oggi, dopo 35 anni dall’inizio, siamo affiliati all’USI: uno status più elevato che abbiamo ottenuto nel 2021. Oggi finisce anche la mia storia di direttore dell’IRSOL, che lascio con il piacere di constatare che l’Istituto ha la possibilità di crescere ancora, grazie al colpo di fortuna più recente: la direzione assunta da Svetlana Berdyugina. Oltre che un’eccellente scienziata, Svetlana ha ottimi contatti internazionali e ha visioni scientifiche molto innovative che possono essere di beneficio per il futuro dell’IRSOL.
Quanto ha contato il caso nella tua carriera professionale?
È stato un elemento fondamentale. Talvolta ho l’impressione di aver camminato in un enorme banco di nebbia e, una volta che si è diradata e io ho potuto guardarmi indietro, mi accorgo di aver posato i piedi sulla cima di pali circondati dal vuoto. In questi 35 anni si sono presentate occasioni incredibili, incontri casuali dai quali poi sono nate collaborazioni importanti. Per esempio, se a Göttingen non ci fossero state persone così legate all’IRSOL, oggi non possederemmo questa strumentazione. Senza Jan Stenflo o senza la direzione della fondazione da parte di Philippe Jetzer non saremmo qua. E potrei fare molti altri esempi.
L’IRSOL avrebbe dovuto essere chiuso. Oggi, 35 anni dopo, ha raggiunto un livello di eccellenza internazionale. Chi e che cosa ha contato di più in questo successo?
Per realizzare qualche cosa di positivo è essenziale che alla base ci sia un’idea corretta per la quale valga la pena di impegnarsi. Come insisteva Alessandro Rima fin dall’inizio, l’IRSOL rappresentava un’occasione di sviluppo culturale per la regione, intesa come possibilità di produzione di idee e di partecipazione all’evoluzione del pensiero. Ci sono state molte persone che hanno creduto in quest’idea, a partire dalle prime persone che hanno indicato in quale direzione e come muoversi, cioè Rima e Utermohlen. Poi c’è stato l’interesse del Cantone e della Città di Locarno, che hanno osato iniziare un’avventura che ai tempi non era affatto scontata. Anche la collaborazione iniziale di Göttingen è stata vitale, sebbene non scontata: bisognava dimostrare che l’impegno a favore dell’IRSOL non sarebbe andato a scapito del lavoro necessario a valorizzare lo strumento di Tenerife. Va citata la collaborazione con Gerd Küveler, professore alla Fachhochschule di Wiesbaden, che ha permesso la realizzazione di molte decine di lavori di semestre o di diploma con temi che hanno portato a strumenti per l’IRSOL. Il lavoro fatto con Jan Stenflo, professore all’Istituto di astronomia del Politecnico, si è rivelato centrale per lo sviluppo dell’IRSOL. I lavori fatti a margine di questa collaborazione hanno aperto all’Istituto le porte della comunità scientifica attiva nella fisica solare. La presidenza della Fondazione è passata poi nel 2000 a Philippe Jetzer, professore all’Università di Zurigo. La sua presenza si è rivelata vitale per le scelte strategiche dell’Istituto e a livello istituzionale ha garantito la presenza di un accademico affermato alla testa dell’operazione. Mi preme far notare che il suo lavoro non retribuito è stato costante e ha richiesto un grande impegno. Va messo in luce pure l’operato del Consiglio di Fondazione, i cui interventi mirati in alcuni casi sono stati decisivi per risolvere favorevolmente situazioni difficili. Nel corso degli anni è stato possibile instaurare rapporti di collaborazione e direi perfino di amicizia che hanno permesso di creare una comunità internazionale. Non si è mai ragionato in termini di concorrenza, bensì di lavoro collettivo con un obiettivo comune: lo sviluppo della conoscenza. Come ho già detto, un fatto essenziale per l’IRSOL è quello di essere diventato un istituto dell’USI. Ciò è dovuto al lavoro di persone all’interno dell’Università: penso a Boas Erez, a Rolf Krause, a Benedetto Lepori, a Piero Martinoli, ad Albino Zgraggen e al lavoro scientifico fantastico fatto dai ricercatori all’IRSOL.
L’IRSOL ormai ha raggiunto un livello di eccellenza internazionale e senza dubbio per te è una grande soddisfazione. Però non hai un po’ di nostalgia per i tempi eroici in cui eravate in pochi e tutto era da creare quasi da zero?
Nel passato dell’IRSOL ci sono stati momenti fantastici come pure alcuni veramente difficili. Arrivare fin qui è stato come scalare una montagna attraversando con fatica difficoltà enormi ma anche godendo di paesaggi spettacolari. Ora, dalla cima, guardando il percorso compiuto, rivedo volentieri i luoghi magnifici attraversati, ma non tornerei indietro. Non ho più l’energia e forse il caso ci farebbe seguire un altro percorso. (Ride.)
Il pubblico immagina lo scienziato al lavoro in laboratorio o impegnato in complesse riflessioni teoriche. Purtroppo spesso la realtà è più prosaica: tanta burocrazia, tante scartoffie. Specie per chi si trova in ruoli direttivi. Non è stato un po’ frustrante?
Le necessità burocratiche relative alla conduzione dell’IRSOL sono aumentate soprattutto nell’ultimo decennio, cioè da quando l’Istituto si è ingrandito e ha acquisito prestigio internazionale. Perciò qualcuno doveva svolgere quel lavoro, anche se io non sono per nulla tagliato per queste attività. Occuparmene ha però voluto dire consentire alle menti brillanti di altre persone di sviluppare ottima scienza. È stato forse un po’ un sacrificio, però me ne sono occupato volentieri perché poi vedevo i risultati che ne scaturivano.
Non pensi che in generale nella ricerca scientifica servirebbe una figura professionale apposita, magari un direttore amministrativo proprio per gestire la burocrazia e lasciare agli scienziati il tempo di svolgere quello che dovrebbe essere il loro vero lavoro, cioè la ricerca scientifica?
I grandi istituti di ricerca vanno in questa direzione. Tuttavia anche una figura di questo tipo non risolverà mai tutti i problemi che si pongono a un ricercatore. Inoltre bisogna avere una dimensione sufficiente, che tuttavia impone un prezzo da pagare. Infatti nei grandi centri scientifici si perdono un po’ le relazioni umane, ci si sente in una specie di industria del sapere. Uno dei grandi pregi dell’IRSOL è invece la dimensione umana. Qui si ha la sensazione di essere quasi in una famiglia.
Adesso che sei in pensione tornerai alla ricerca scientifica vera e propria? Oppure andrai a pescare e basta?
Sto apprezzando il fatto di poter ritrovare un po’ di tempo per me stesso. Per quanto riguarda l’attività scientifica, penso che dovrò tornare a studiare (Ride.) Davvero: ci sono tantissime cose importanti che voglio approfondire, per colmare delle lacune, per capire meglio. Per quanto riguarda l’IRSOL, penso di avere ancora molto da dare soprattutto nell’ambito strumentale e osservativo. Conosco lo strumento come le mie tasche e, in questo momento, ci sono ambiti nei quali solo io so dove mettere le mani. Perciò l’idea è quella di modernizzare la strumentazione e di renderla indipendente da me. Inoltre ci sono alcune misure che non ho mai avuto il tempo di raccogliere. Adesso finalmente avrò questo tempo.
La pensione spesso è anche il momento dei ripensamenti. Hai dei rimpianti? Che cosa cambieresti se tornassi indietro? Quali occasioni mancate coglieresti? Quali errori eviteresti?
In tutte le vite, sul piano personale e su quello professionale, ci sono cose che, con il senno di poi, si vorrebbe cambiare. Però anche alcuni errori, perfino alcune occasioni perdute, si scopre che poi si sono sviluppati in opportunità differenti, pur richiedendo in molti casi tempo e lavoro. Perciò, anche se è difficile, si tratta di sapere accettare i propri errori e le proprie manchevolezze, constatando che comunque si è dato un contributo nel costruire una strada. Pensa al Jenga: se togli il pezzo sbagliato, rischi di far crollare tutta la torre.
L’Istituto
L’Osservatorio nasce all’inizio degli anni ’60 e dipende dall’Università di Göttingen, in Germania. Nel 1984 la strumentazione viene parzialmente trasferita a Tenerife, nelle Canarie, e la gestione dell’Osservatorio passa alla Fondazione Istituto Ricerche Solari Locarno. Negli anni successivi la strumentazione viene ricostruita, completata, rinnovata e perfezionata. L’Osservatorio si occupa di spettropolarimetria per studiare i campi magnetici solari. A partire dal 1996 l’IRSOL collabora con il professor Jan Stenflo, del Politecnico di Zurigo. In particolare viene sviluppato il polarimetro ZIMPOL. Con la chiusura della cattedra di fisica solare a Zurigo nel 2007, lo sviluppo di ZIMPOL viene trasferito in Ticino in collaborazione con la SUPSI. Le collaborazioni internazionali proseguono e nel 2013 arrivano in finanziamenti della Confederazione svizzera. Dal 2015 l’IRSOL è associato e dal 2021 è affiliato all’Università della Svizzera italiana (USI). Nel 2022 Svetlana Berdyugina assume la direzione dell’IRSOL e il titolo di professoressa presso la Facoltà di scienze informatiche dell’USI.